“Napulitan”, il singolo, il video: Intervista a Zulù dei 99 Posse e Valerio Jovine

di Rosario Dello Iacovo

È uscito in questi giorni il video di Napulitan. Il secondo singolo di Sei, sesto disco di Jovine, reggae band napoletana, con il feauturing di Zulù della 99 Posse. Ho colto l’occasione per un’intervista con lo stesso Zulù e Valerio, il frontman degli Jovine, che il pubblico della 99 ha imparato a conoscere per le collaborazioni sempre più frequenti e la sua presenza stabile, insieme al rapper Speaker Cenzou, nella formazione dal vivo della Posse. In realtà si tratta di una sorta di autointervista, nel senso che anche io come loro faccio parte della famiglia 99 Posse, occupandomi da sempre della gestione dei loro tour e avendo scritto in collaborazione con Luca qualcuna delle loro canzoni. Perciò, quello che leggerete è il frutto di un’allegra chiacchierata in videoconferenza su Skype fra me, Luca e Valerio sul singolo, il disco, i progetti futuri e il retroterra dal quale è nata questa collaborazione.

Allora, che mi dite di questo Napulitan?

Zulù

Napulitan nasce da un’idea di Valerio di fare una canzone su Napoli e su quanto Napoli sia un po’ ovunque. Sia perché gli stessi napoletani sono ovunque, ma anche perché Napoli non è solo una città, un luogo geografico, ma anche un’attitudine, un modo di affrontare la vita. Lui ha scritto delle bellissime immagini, tra le quali la più riassuntiva è: Addo stong stong, stong semp cca. Perciò mi sono dovuto cimentare in una sfida difficile, perché in quella strofa simboleggia bene il senso complessivo del pezzo. Ho trovato una chiave di lettura nel ribaltamento ironico della situazione reale. Trasformare quello che è l’incubo della maggior parte dei napoletani, cioè quello di dover emigrare, in una sorta di piano occulto di una setta segreta napoletana che ha come obiettivo il dominio del mondo (e ride). Per cui trasformare l’emigrazione in “colonizzazione”, e la necessità di doversi allontanare dalla propria terra in una sorta di ricollocazione. A un certo punto ci ho messo pure una zeppata (frecciata) alla lega e a questa attitudine che sembra sempre più prendere piede da parte nostra di sentirci fuori luogo quando siamo fuori dalla nostra città, di sentirci a disagio, di sentirci come se stessimo andando a prenderci qualcosa che è di qualcun altro. Ricordando a questi signori ca si nun ‘a fernescen (che se non la smettono) gli leviamo pure le case da sotto il culo perché le colonie si stanno cacando il cazzo. Perciò la mia strofa parte con le parole provocatorie: ‘Na cosa ca putess fa l’italiano foss ‘e se ‘mparà ‘o napulitano, la lingua più diffusa da Roma a Milano, il principale prodotto d’esportazione italiano. Ma il pezzo chiarisce abbondantemente che non si tratta di una sorta di leghismo alla rovescia. Anzi, è un modo per affermare un rapporto di fratellanza nei confronti di quelli che si sentono legati alla propria città, anche se la loro città è Torino, Milano, Kingston, Dakkar, e senza nessun delirio di superiorità. L’esercito degli ultimi non ha nazione.

Più di trentasettemila visualizzazioni su YouTube in tre giorni, niente male per un prodotto dal basso come Napulitan…

Valerio Jovine

Diciamo che ci aspettavamo un certo riscontro, ma non che avesse numeri così grandi. Abbiamo sempre avuto uno zoccolo duro molto fedele che ci accompagnato nel corso del tempo. E notiamo che con “Sei”, il sesto disco della nostra produzione, la base si è allargata ben oltre le più rosee aspettative. Quello che più ci fa piacere è aver constatato che tutti hanno capito che Napulitan è un inno al sud del mondo, quindi ha solo apparentemente una connotazione geografica. Quarto Oggiaro è più sud del mondo di Posillipo, sotto molto punti di vista.

Com’è nata la vostra collaborazione?

Zulù

Abbiamo collaborato in occasione del suo primo disco tanti anni fa, poi ci siamo un po’ persi di vista e abbiamo ripreso la collaborazione nei suoi ultimi due dischi. Da allora lui ha trovato una chiave nella dancehall, nel reggae e ci siamo capiti molto di più. C’è stato un feeling nel comporre e nel cantare insieme che mi ha portato a chiedergli la collaborazione e la presenza in Cattivi Guagliuni dei 99 Posse, oltre che nel relativo tour. Ci capiamo e stiamo bene insieme. Siamo sintonizzati. Da quando è uscito il video di Tu chi sei? sono iniziate ad arrivare un po’ di richieste di avere me nello spettacolo di Jovine. E da questa cosa è nata l’idea di preparare uno spettacolo in cui io avessi uno spazio. Sentivo anche l’esigenza di diversificare la mia esibizione, perciò ho incluso solo tre pezzi dei 99 Posse, un medley raggamuffin, Rigurgito Antifascista e Curre Curre Guagliò. Da qui la decisione di tirare fuori dal cassetto un po’ di canzoni che ho realizzato al di fuori della mia band di appartenenza, come Giuann Palestina, alla quale sono molto legato, oltre che materiale di Al Mukawama, Zulù in the Al Mukawama Experiment 3 e di frammenti di un pezzo dei Tre Terroni, realizzato al tempo con i Bisca.

Valerio Jovine

Mio fratello Massimo, Jrm, è uno dei fondatori della 99 Posse, perciò Luca, aka Zulù, è praticamente una persona di famiglia, ma allo stesso tempo un idolo della mia adolescenza. A Cosenza, per il concerto di solidarietà agli arrestati del Sud Ribelle, sono salito per la prima volta su un palco insieme a lui e c’era pure Michele Caparezza. Una prima volta da ricordare. Da allora, Cosenza, grazie anche al fatto che il nostro chitarrista è di là, è diventata la nostra seconda casa. Ah, a proposito con Jovine suoniamo a Cosenza il 28 settembre. Tornando a noi, Luca è venuto a registrare il suo primo disco solista nel mio studio a Napoli. Io sono stato invitato a fare Curre Curre Guagliò con lui, sempre a Cosenza, al festival Invasioni. Poi ho saputo che era un fan del progetto Jovine. E così nel nostro penultimo disco gli ho chiesto di scrivere insieme Tu chi sei?, che è un pezzo (e video) molto importante per la storia di Jovine. Poi ci siamo ritrovati insieme a Napoli il 18 luglio del 2009 nel primo concerto della rinata 99 Posse, con tutta la nostra band a suonare durante la loro esibizione. In pratica, ci furono gli arresti di una ventina di studenti dell’Onda che avevano partecipato al G8 dell’università a Torino. Tra loro, anche Egidio Giordano, un attivista del centro sociale Insurgencia molto noto a Napoli, oltre che un nostro fratello e dei 99. Ci attivammo subito per un grande concerto di solidarietà a piazza del Gesù, un luogo storico dei movimenti napoletani. Naturalmente, tutte le band si esibirono a titolo completamente gratuito. Sul palco c’eravamo noi Jovine, i SangueMostro di Speaker Cenzou (altro membro storico e attuale della famiglia 99), i 24 Grana, e vari altri gruppi. I 99 Posse avevano dato l’adesione come singoli, ma pochi giorni prima per dare un maggior impatto alla manifestazione decisero di pubblicizzare la presenza col loro brand storico e non col nome dei singoli progetti che portavano avanti. Solo che non avevano uno spettacolo pronto, nonostante la reunion fosse nell’aria da qualche mese, e non suonavano insieme dal 2002. Così, senza nemmeno una prova, salirono sul palco a chiudere la serata davanti a quindicimila persone con gli Jovine che suonavano insieme a loro le loro canzoni. Non accadeva da anni che il centro storico di Napoli fosse così pieno che se lasciavi cadere uno spillo non avrebbe toccato terra. Ho ancora i brividi a raccontarlo.

Valè, com’è il tuo rapporto con Napoli?

Valerio Jovine

Contraddittorio dal punto di vista artistico. All’inizio della mia carriera, col primo disco che era un progetto da solista, e anche nei primi di Jovine come band, non scrivevo in napoletano. Il confronto con la grande tradizione della nostra musica mi incuteva soggezione, diciamo che probabilmente non mi sentivo pronto. A partire da Senza limiti, il terzo disco, ho avuto il primo approccio con il napoletano nel pezzo ’O reggae ‘e Maradona, un manifesto della napoletanità sia per quanto riguarda la lingua che per l’omaggio al re del pallone, che è stato a modo suo una sorta di re anche della città. Come sai, sono un gran tifoso del Napoli, ma non solo. Io amo Napoli, ho scelto di vivere nel centro antico per nutrirmi quotidianamente dei suoi suoni, dei suoi odori, delle suggestioni che mi assalgono appena mi affaccio dal balconcino al terzo piano di un vicolo che dà su piazza Mercato. A casa mia. Sono spessissimo in giro per l’Italia fra gli impegni di Jovine e quelli coi 99 Posse, ma appena posso schizzo subito a Napoli. Amo passeggiare pe ddint e viche ‘e chesta città. Ma non tergiversiamo, a che eravamo rimasti?

Al reggae di Diego Armando Maradona…

Valerio Jovine

Ecco, quella canzone, o Da Sud a Sud, hanno allargato molto il nostro pubblico. Oggi vedo che vari artisti della nostra scena mettono da parte il napoletano, optando per l’uso esclusivo dell’italiano nei loro testi. Ovviamente, non è una critica perché sono scelte individuali legittime e motivate, io invece adesso riesco a far convivere naturalmente le due lingue, senza decidere a priori quanti pezzi nell’una e quanti nell’altra voglio includere in un disco. Come dico nel pezzo La Matematica, Le canzoni nascono da sole e di notte. Ti faccio qualche altro esempio. Canto, il primo singolo del nuovo lavoro, è tutto in italiano, Napulitan vira verso il nostro idioma locale, che tanto locale non è, perché il napoletano è lingua universale, pensa a ‘O Sole Mio, che è una delle canzoni più famose al mondo.

Secondo te qual è il requisito fondamentale che deve avere una canzone?

Valerio Jovine

La semplicità. Da non confondere con la banalità. Da questo punto di vista Napulitan è un esempio perfetto, ma un po’ tutto il nuovo disco è scritto e pensato su questa traccia: concetti semplici, perché la semplicità è figlia della chiarezza, capaci di arrivare al maggior numero di persone possibile, senza rinunciare alla nettezza delle proprie idee e del proprio punto di vista.

E adesso sei un membro stabile della formazione live dei 99 Posse…

Valerio Jovine

Non solo, perché ho fatto varie guest anche in Cattivi Guagliuni, insieme al già citato Speaker Cenzou. Come dici spesso tu, il tridente, l’attacco a tre punte della 99. Questa esperienza mi sta dando tanta visibilità e sta sicuramente aiutando anche la mia band a farsi conoscere sempre di più in giro per l’Italia. È uno dei due assi nella manica di Sei, l’altro è Riccardo Vitanza che ci ha invitati a far parte del suo ufficio stampa “Parole e dintorni”, insieme a Ligabue, Jovanotti, Pino Daniele, I Sud Sound System… Tra l’altro è un grandissimo amante del reggae e ci sta sostenendo davvero alla grande.

Luca, progetti futuri in vista con gli Jovine?

Zulù

Il materiale di cui ti parlavo prima, rivisitato in chiave più reggae dagli Jovine, farà parte di un progetto che vedrà la luce nei primi mesi del 2013. Si differenzierà dallo spettacolo dei 99 dal punto di vista musicale per l’assenza di qualsiasi contributo elettronico, sarà completamente suonato; e dal punto di vista dei testi per una predominanza netta della dimensione dell’io rispetto a quella del noi. Non so ancora se ci tireremo fuori un disco, ma sono certo di voler fare un disco dal vivo. Sono indeciso se registrare un live in studio prima del tour, oppure se registrare i concerti e far uscire il disco alla fine. Molto probabilmente ci sarà un inedito che dovrebbe chiamarsi Combat Reggae a fungere da traino all’operazione. Combat perché il reggae è in sé una musica da combattimento, antifascista e antirazzista.

Valerio, parlavi di tridente prima, alla fine io e te finiamo a parlare sempre di pallone. Quindi, lasciamoci con un pronostico per il nostro Napoli. Che facciamo quest’anno?

Ce la giochiamo, fra’.

Vesuvio e rischio tsunami, intervista al direttore dell’Osservatorio vesuviano Giovanni Macedonio

di Rosario Dello Iacovo

La tragedia del sud-est asiatico ha mostrato con chiarezza quanto le catastrofi siano naturali soltanto in parte. L’altissimo numero di vittime e i danni inestimabili sono da mettere in relazione all’assenza delle più elementari misure di prevenzione. Solo ora i paesi dell’area cominciano a discutere di un sistema anti-tsnunami, i cui costi, stimati intorno al mezzo milione di euro, appaiono risibili di fronte alle cifre della sciagura. La prevenzione è fondamentale di fronte ai cataclismi ed è un problema che riguarda a vario titolo diverse regioni del pianeta. La Campania è una di queste e l’emergenza Vesuvio si colloca, senza dubbio, fra quelle prioritarie per la sicurezza in ambito nazionale. Ne abbiamo discusso con il Direttore dell’Osservatorio vesuviano, Giovanni Macedonio.

Il monitoraggio del Vesuvio è sufficiente?

Sì, è uno dei vulcani più monitorati al mondo, con una rete di sorveglianza tecnologicamente avanzata e attiva 24 ore su 24. L’attenzione è rivolta a 3 aspetti fondamentali: sismicità, deformazioni e forza di gravità, analisi geochimica della temperatura dei gas. Ogni variazione minima di questi elementi è indagata con accortezza. Al momento non abbiamo elementi di preoccupazione, a oltre 60 anni dall’eruzione del 1944 il Vesuvio non da segni di risveglio. Se per i terremoti non si possano fare previsioni attendibili, per le eruzioni vulcaniche una corretta lettura dei dati permette di operare con tempi sufficienti per evitare un alto costo in termini di vite umane.

Esiste un pericolo tsunami legato a un’eruzione del Vesuvio?

Il pericolo esiste. La civiltà Minoica a Creta fu spazzata via da un’onda anomala. La stessa catastrofica eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei nel 79 dc, è stata accompagnata da fenomeni di maremoto. Tuttavia, questo è un aspetto marginale, perché un maremoto si genera prevalentemente quando il sisma ha l’epicentro in mare o su un’isola vulcanica. Sono altri i problemi. In primis l’area direttamente interessata dai flussi piroclastici o nubi ardenti (zona rossa), va immediatamente evacuata, non esiste altra soluzione allo stato attuale delle nostre conoscenze. L’eruzione forma un cratere dal quale fuoriescono gas e particelle a 500-600° con una pressione d’impatto fortissima che distrugge tutto ciò che incontra. Poi, entro il tempo massimo di un’ora, le ceneri da una quota di 10 – 30 km d’altezza ricadono su una parte più ampia di territorio (zona gialla), creando problemi di viabilità, sia terrestre che area, ma soprattutto provocando il crollo dei tetti.

Quali aree sarebbero interessate?

Con diverso grado di coinvolgimento, 18 comuni dell’area vesuviana, ma secondo i dati sui venti ad alta quota che vengono raccolti dal 1948, la città di Napoli sarebbe poco colpita, mentre più problematica risulterebbe la posizione delle aree a est del Vesuvio, in direzione di Scafati, Sarno, Ottaviano. Resta comunque una questione di massima allerta, perché nell’area vivono oltre 600.000 persone. Un numero decisamente troppo elevato.

Un giudizio sul piano d’evacuazione del 1995

Faccio una premessa: Bisogna innanzitutto incentivare le misure volte a un decongestionamento dell’area e applicare misure di controllo che abbiano la stessa solerzia dei rilevamenti scientifici. Verificare periodicamente quante famiglie si sono trasferite e combattere con rigore l’abusivismo che proprio sul Vesuvio ha le sue testimonianze più significative. L’ente parco ha bloccato diverse costruzioni abusive, ma resta da fare ancora moltissimo e certo non con i condoni periodici. Il piano d’evacuazione è dinamico, sottoposto a verifiche periodiche. Per maggio 2005 è atteso il completamento dei lavori della commissione della Protezione Civile che faccia il punto della situazione.

Come valuta le prove svoltesi finora?

Pregi e difetti. Il pregio maggiore è stato quello di informare le popolazioni interessate, grazie anche al coinvolgimento delle strutture scolastiche. E’ stato importante testare sul campo quelli che sono modelli teorici e verificarne la tenuta. Fra i difetti citerei il fatto che ne sono state realizzate solo 3 e con l’interessamento di un comune per volta. L’ultima si è tenuta nel 2001 a Portici, uno spostamento lungo 3 direttrici: auto private, un treno e una nave partita dal porto del Granatello. Un movimento di circa 1500 persone verso il comune gemellato di Bellaria Igea in provincia di Rimini. Spostarne 600.000 in una situazione di reale pericolo non sarà la stessa cosa.

Intervista a Michele Gravano, segretario campano della Cgil

di Rosario Dello Iacovo

La situazione del lavoro in Campania è drammatica. Mentre si allarga il divario col nord e viene azzerata l’industria regionale, il governo vara una finanziaria che riduce ulteriormente le risorse per il sud. La situazione di allarme sociale sta raggiungendo livelli molto elevati nelle regioni meridionali, strette fra disoccupazione e mafie, fra lavoro nero e quello iperprecario delle nuove forme di flessibilità. Ne abbiamo discusso con il Segretario regionale della Cgil campana Michele Gravano, in un’intervista dai toni preoccupati e dagli “scenari ucraini”. Ma anche un tentativo di riflessione sui limiti dell’azione sindacale nei confronti della flessibilità e del paradigma del lavoro neoliberista.

Il sud arranca e questa finanziaria gli da il colpo di grazia?

Questa finanziaria è quanto di peggio poteva capitare al Sud: riduce le risorse per gli investimenti, gli incentivi alle imprese e per il sostegno all’occupazione. La riduzione delle risorse sul welfare, in particolare sulla sanità, peserà nel corso del 2005 in maniera negativa. Non c’è una terapia capace di collocare il Mezzogiorno al centro dei problemi del Paese, di considerarlo una risorsa e di avviare una ripresa, una crescita ed un rilancio dell’occupazione. Dovremo continuare nel 2005 a contrastare questa politica partendo dall’accordo sottoscritto con Confindustria, l’Abi e un insieme di associazioni.

Lei, citando recentemente il caso Ucraina, ha parlato di pericolo di rottura dell’unità nazionale in Italia, teme davvero uno scenario di questo tipo?

La vicenda dell’Ucraina è allarmante. Noi non siamo estranei a questi rischi. Il Mediterraneo, per i conflitti che sono in corso, sarà uno dei terreni di impegno stragegico della nuova amministrazione americana e non è dato per scontata la persistenza di una unità in funzione di questi obiettivi strategici. In questo senso i processi di devoluzione messi in atto dall’attuale maggioranza sono il segnale di questo pericolo. I rapporti internazionali, soprattutto quelli tra Usa ed Europa, delineano, dopo la vittoria di Bush, una nuova fase che dovrà essere seguita con attenzione, perchè i tentativi di dividere l’Europa saranno fatti con molta forza e la strategia di questa amministrazione americana è più che mai determinata

Quindi un nord che fa corsa a se e un sud in concorrenza diretta coi paesi dell’est europeo?

Per quanto riguarda la concorrenza dell’Est e l’allargamento dell’Europa, i negoziati che si apriranno con la Turchia e quelli, dopo il 2007, con la Bulgaria e la Romania sono da considerare positivi in un contesto di ripresa e di unità dell’Europa nello scacchiere mondiale. Questo allargamento comporterà dei problemi che dovranno essere mediati e governati. Quindi non contrapporrei le aree in ritardo di sviluppo storiche alle nuove. Questo dovrà comportare un’azione e anche un impegno delle forze politiche, sindacali e sociali, come la Ces, la confederazione europei dei sindacali, e i rappresentanti degli industriali in sede europea, a definire le finalità dei nuovi fondi comunitari, gli obiettivi strategici da perseguire, senza arrestare i processi in corso nelle diverse aree del sud d’Europa. L’esperienza tedesca e in parte anche quella francese sono allarmanti e non riproponibili nella situazione italiana, perchè i salari medi tedeschi e quelli francesi, anche in termini di orario di lavoro, sono notevolmente superiori a quelli italiani che sono tra i più bassi d’Europa.

La flessibilità è necessaria? Non le sembra subalternità nei confronti del modello neoliberista, che anche in presenza di piena flessibilità non produce, invece, sviluppo?

Nessuna subalternità al neoliberismo. Il lavoro a tempo indeterminato deve rimanere il rapporto di lavoro fondamentale e centrale nell’accesso al mercato. Questo non significa che altre forme di rapporti di lavoro, contrattati e regolati, non siano possibili. Ma la moltiplicazione dei rapporti determinata dalla legge 30, la precarizzazione, che è cosa diversa dalla flessibilità, è da contrastare perchè sta producendo insicurezze e guasti. Per quanto riguarda la Campania, ci sono state le esperienze coordinate dal professor Meldolesi e il tentativo, attraverso l’utilizzo dei fondi comunitari, di avviare alcune iniziative per aiutare l’emersione. Questo governo ha fatto propaganda e non ha risolto nulla. Sono più il reddito di cittadinanza e il tema del sostegno formativo vincolato al tempo indeterminato ad aver caratterizzato l’azione legislativa della Regione che non questa iniziativa sul sommerso che rimane come un problema vero che viene consegnato alla prossima legislatura e sulla quale bisogna lavorare, dopo gli errori e i guasti commessi dalla vecchia gestione confindustriale.

Da Piscinola a Ballarò, intervista a Gaetano Di Vaio

di Rosario Dello Iacovo

Un’esistenza di ordinaria criminalità di periferia, poi la svolta: il sodalizio con Peppe Lanzetta e un recente ingaggio per “la squadra”. E’ la vita del 37enne Gaetano Di Vaio, un figlio del bronx napoletano.

Lo incontriamo al settimo piano di un palazzone di periferia, sullo sfondo la 167 con il suo carico di umanità dolente. Una sorta di destino annunciato fra emarginazione sociale e devianza, al quale però si può sfuggire, come dimostra con efficacia la sua storia.

La puntata di Ballarò alla quale hai partecipato con Lanzetta ha provocato una dura reazione del Sindaco Iervolino, che hai da dire a riguardo?

Il Sindaco ha criticato sia la linea professionale del programma, che il processo alla città che ne è scaturito. Sul primo punto sono in parte d’accordo, perché non è stato invitato un rappresentante delle istituzioni cittadine. Tutti sappiamo quanto è difficile fare il sindaco a Napoli, ma c’è poco da scandalizzarsi, quella che abbiamo mostrato agli operatori di Ballarò è una realtà di degrado nota da anni. Così come non è sorprendente la recente escalation della violenza camorristica, qui si spara e si ammazza da oltre 30 anni, peccato che i media e le istituzioni se ne accorgano solo quando la crudezza delle cifre impone la questione all’attenzione generale.

Ricostruiamo la tua vicenda personale.

Sono nato a Piscinola, in una famiglia popolare con dieci figli e a 6 anni sono entrato in collegio. Lì, a contatto con figli di detenuti e di prostitute, iniziò la mia formazione criminale. Poi il riformatorio, prima a Piazza Carlo III e poi al “Fiorello“ di Torre del greco. Scappavo spesso e il giudice dei minori decise di inviarmi in un centro di recupero mentale: il “Nuovo Elaion” di Eboli, dove le violenze erano all’ordine del giorno. Ma tenni duro e ricordo quei dieci mesi come una grande palestra di vita e di umanità, nel rapporto con persone affette da disturbi psichici. Quando l’Italia vinse i mondiali dell’82 rubai il furgone dell’istituto e andammo a festeggiare nel centro di Eboli. Ho rivisto anni dopo una scena simile in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, ma all’epoca non sapevo neanche chi fosse Jack Nicholson.

Poi che accadde?

Tornai a casa e in seguito al furto di un auto fui arrestato e restai 3 mesi nel carcere minorile di Nisida, frequentando con ottimi risultati il corso d’informatica. Avrei voluto continuare una volta libero, ma le assicurazioni ricevute durante la detenzione si rivelarono infondate. Così a 21 anni feci il mio primo ingresso a Poggioreale, ci sarei tornato molte altre volte, diventando nei brevi periodi di libertà anche tossicodipendente, condizione che mi fece conoscere la brutale realtà di San Patrignano. Nel 1996 decisi di chiudere con la droga e la delinquenza.

Cosa fece scattare la molla?

Nel carcere di Fuorni una sera vidi in tv Peppe Lanzetta che parlava del suo libro “Figli di un bronx minore”, dopo averlo letto rividi la mia vita sotto un’altra prospettiva. Una volta uscito mi misi a fare il venditore ambulante di panini, ma a Scampia eravamo tanti e la concorrenza spietata. L’unico luogo nel quale nessun altro metteva piede era il campo Rom. Qui diedi vita a una specie di bar-centro sociale e incontrai gli operatori di “Compare” e di “Chi Rom e chi no”, sviluppando un rapporto eccezionale con uno di loro, Francesco Mastursi. Poi arrivò finalmente la telefonata di Lanzetta.

Quali iniziative avete realizzato insieme?

La compagnia teatrale “Figli di un bronx napoletano”, un’esperienza durata 3 anni e appoggiata dalle istituzioni all’inizio, poi passata la campagna elettorale restammo soli. E’ giusto aiutare il terzo settore, ma non sostenendo associazioni la cui unica finalità è la loro stessa sopravvivenza. Purtroppo monopolizzano i finanziamenti, mentre realtà che fanno un vero lavoro sul territorio, come “Progetto Uomo” o la comunità di Padre Carlo a Secondigliano, vengono abbandonate a se stesse. E’ fondamentale anche che gli operatori abbiano un vissuto simile a quello dei giovani delle periferie coi quali interagiscono. In quest’ottica partirà a dicembre un nostro progetto coi minori del carcere di Nisida.

Hai risolto i tuoi problemi con la giustizia?

Sono stato recentemente condannato per un furto compiuto nel 1990 quando ero tossicodipendente, il classico paradosso del sistema giudiziario italiano, nel quale le condanne arrivano anni dopo. Dovrei tornare in carcere per un anno e mezzo, ma grazie alla sensibilità di Antonio Alessi, Francesco Vicario e Franco Rapa, produttori de “la squadra”, sono stato assunto in affidamento presso di loro. Si parla di un ruolo da attore basato su vicende reali della mia vita, è il mio sogno. Dal bronx napoletano si può uscire, ma devi trovare pure qualcuno disposto a darti una mano.

Intervista a Tommaso Iavarone, presidente di Confindustria Campania

L’industria campana è in crisi. Migliaia i posti di lavoro in bilico. Uno stillicidio di fabbriche che chiudono o in procinto di cessare la produzione. Peroni, Ipm, Finmatica, Finmec, Montefibre npg e Ixfin i casi più recenti ed eclatanti. Dal comparto alimentare alla telefonia, dalle telecomunicazioni all’elettronica, siamo di fronte a un vero e proprio tracollo. In questo contesto l’allarme lanciato da Maurizio Mascoli, segretario della FIOM campana, sul manifesto di sabato, risulta assolutamente fondato.

Sull’argomento abbiamo raccolto le dichiarazioni di Tommaso Iavarone, imprenditore dagli interessi diversificati, con particolare presenza nel settore del legno, e da luglio del 2000 presidente di Confidustria nella nostra regione.

Settemila posti a rischio in Campania, secondo lei quali sono le cause della crisi profonda del sistema produttivo regionale?

Ci sono cause nazionali e altre locali. La sottocapitalizzazione delle nostre imprese è certamente un elemento di debolezza. Poi indicherei l’inefficienza della pubblica amministrazione e la criminalità organizzata, che sono due pesanti disincentivi per gli investimenti e non permettono alle nostre aziende di essere competitive. Pensi che per ottenere il permesso per l’apertura di una fabbrica in Campania sono necessari da 12 a 18 mesi, al nord ne servono appena da 6 a 9. Ma non è al nord che dobbiamo guardare, i concorrenti diretti della nostra industria regionale sono i paesi dell’est europeo. Centinaia di aziende venete hanno delocalizzato negli ultimi anni la propria produzione in Romania. Qui per lo stesso permesso occorre nella maggior parte dei casi un tempo inferiore a 3 mesi.

Le aziende che lei cita, però, pagano raramente salari superiori a 100 dollari al mese e hanno un controllo totale sui lavoratori. Per essere competitivi con l’Europa dell’est è necessario rendere il lavoro in Campania ancora più precario di quanto sia ora?

Innanzitutto non lo chiamerei precario, ma lavoro a tempo determinato. Certo, sarebbe meglio se ci fossero opportunità occupazionali a lungo termine per tutti, ma questa è la situazione e siamo chiamati a cercare rimedi possibili e realistici. Assurdo pensare che i nostri salari possano essere compressi ai livelli di quelli rumeni o bulgari, ma è necessario creare sul territorio condizioni d’investimento più favorevoli, anche sul piano del costo del lavoro e della flessibilità. Insisto, uno snellimento delle pratiche burocratiche sarebbe già un grosso passo avanti in questa direzione.

E le ricadute sociali? I giovani assunti a tempo determinato come potranno programmare un futuro, visto che anche un operatore di call center viene assunto oggi con un contratto a progetto? Che progetto è rispondere al telefono?

Queste distorsioni sono in palese contraddizione con la legislazione vigente e vanno duramente perseguite. In ogni caso, anche se si trattasse di mio figlio, preferirei un’occupazione a fasi alterne, piuttosto che la disoccupazione perenne. Lei probabilmente vede mezzo vuoto il bicchiere che per me è invece mezzo pieno. Più in generale la questione che pone riguarda la politica, oggi siamo di fronte alla necessità inderogabile di un nuovo patto sociale.

Come giudica la finanziaria 2005 che taglia i fondi per il sud e per le aziende meridionali? Non sembrano emergere tracce di una politica industriale, nell’azione dell’esecutivo.

Concordo pienamente, questa finanziaria è una vera iattura. Non parlo delle detassazioni, che pure erano state ampiamente promesse, ma delle agevolazioni contenute nella legge 488, che sono state trasformate in prestito a lungo termine. A tuttoggi, inoltre, non sappiamo se i previsti contratti di programma saranno finanziati o meno.

Negli ultimi anni c’è una forte ripresa del flusso migratorio interno. Secondo i dati Istat ogni anno quasi 100.000 meridionali emigrano verso le regioni settentrionali. Come valuta il progetto “sud-nord-sud”, secondo il quale i lavoratori si formerebbero al nord per tornare poi nel mercato del lavoro meridionale?

Ne do una valutazione negativa i posti di lavoro vanno creati sul nostro territorio e anche la formazione deve essere svolta qui al sud. Abbiamo fior di università e know-how di alto livello per evitare ai nostri giovani di andare a formarsi altrove.

Cosa ne pensa della proposta del governatore Bassolino di istituire una banca del Mediterraneo?

Può essere un’opzione valida, a patto che sia una merchant bank, una banca di sviluppo e investimento con partecipazione diretta alle fortune dell’azienda, non un consulente esterno a rischio zero.